Il lavoro da casa o smartworking, già in uso prima del 2019 in fase alterne, e solo per alcune categorie lavorative, con l’avvenuta pandemia del COVID-19 ha fatto sì che venissero istruite e costrette le aziende pubbliche e private ad introdurlo.
Ma in tutto questo sorge una domanda spontanea. Lo smartworking è ecologico?
Questo sistema lavorativo ha apportato sicuramente all’ambiente delle migliorie: prima fra tutte la riduzione dell’inquinamento atmosferico e acustico, dovuto alla diminuzione di utilizzo delle automobili, autobus e altri veicoli a motore andando per raggiungere il posto di lavoro.
Anche lavorare da casa un solo giorno su 5 riduce notevolmente l’emissioni di CO2.
Ma se da una parte lo smartworking porta sicuramente a dei vantaggi ambientali dall’altra il singolo lavoratore si ritrova a sostenere dei costi in più come l’energia elettrica (luce, computer, tablet, stampanti e altri elettrodomestici come i condizionatori per l’estate e per l’inverno) ed il gas (per il riscaldamento d’inverno) considerando l’aumento di base di questo periodo dei costi di energia e gas.
Inoltre in alcuni casi, si è riscontrato che il lavoratore che lavora da casa è meno produttivo perché ha più distrazioni. In altre occasioni invece lo è molto di più, ma dipende tutto dal ruolo.
È pur vero però che, risparmiando sia sul costo del carburante si è innalzato quello delle bollette. Per questo motivo finito il periodo di allarme della pandemia, il lavoratore preferisce il lavoro ibrido, da casa e in sede.
Purtroppo però nel giro di poco tempo si è rilevato un aumento di emissioni nocive addirittura in alcuni casi uguali o superiori ai livelli di pre-pandemia.